Gustav Klimt, Le tre età della donna (1905)
La gravidanza, il parto ed i primi mesi dopo la nascita di un figlio rappresentano per ogni donna un momento di grande e profondo cambiamento perché non si tratta semplicemente di nuovi compiti e nuovi ritmi giornalieri, ma di una trasformazione a livello dell’identità personale.
Con la nascita di un bimbo infatti la motivazione al prendersi cura di un altro essere umano per alcuni anni totalmente dipendente dalle cure e dalla protezione degli adulti entra potentemente nella vita della neomamma e guida le sue intenzioni ed azioni.
La motivazione all’accudimento modifica profondamente il senso di sé di una donna e l’adattamento a questa nuova condizione comporta un cercare piano piano di trovare un nuovo equilibrio ed armonia con gli altri ruoli e le altre motivazioni che fino a questo momento hanno occupato la sua vita: il lavoro, la relazione con il partner, le relazioni amicali e con la propria famiglia di origine…
Già durante la gravidanza il “cucciolo d’uomo” dà i segnali della sua presenza, attraverso la graduale, lenta ma importante modificazione del corpo femminile e attraverso la sintomatologia più o meno invalidante (nausee, stanchezza, disturbi più o meno lievi…) che spesso contraddistinguono questo periodo.
I nove mesi dell’attesa diventano anche occasione per riflettere sulla propria storia di “figlia” e per ricercare un contatto profondo con la propria madre: da qui le sofferenze che possono riattivarsi nel caso la storia di attaccamento con la madre sia stata difficile.
I primi mesi dopo il parto, anche quando non ci sono complicazioni, sono mesi delicati, di adattamento: può succedere che la donna si senta inadeguata, non all’altezza del nuovo compito che la vita le presenta, che fatichi ad entrare in sintonia e a costruire un legame affettivo col proprio bambino, che si senta “distaccata” da lui, come se fosse un estraneo per lei…
Questi sintomi, soprattutto se persistenti nel tempo, non vanno sottovalutati, ma devono spingere la neomamma a chiedere il sostegno del proprio compagno e dei familiari e a rivolgersi ad un professionista per un percorso terapeutico che spesso unisce i farmaci alla psicoterapia.
Attraverso il dialogo clinico, sarà possibile ritrovare fiducia nel proprio appartenere al genere umano e quindi nel possedere l’istinto biologico a prendersi cura dei cuccioli in quanto mammiferi.
Sarà possibile anche “guarire” le ferite della storia di attaccamento e rielaborare eventuali vicende traumatiche (aborti precedenti, lutti, abbandoni,violenze…) che presentano ancora il loro potenziale patogeno interferendo con la costruzione di un legame sicuro tra mamma e bambino.